UN PO’DI STORIA. Nel corso del XVI, XVII e XVIII la Sicilia visse in un continuo stato di guerra e di paura causato dalle continue scorrerie dei pirati provenienti dalle coste della Tunisia, Algeria e Libia. Vascelli e sciabecchi dei pirati “turchi” piombavano sulle coste dell’isola sia di giorno che di notte depredando merci e beni, catturando popolazione. Il 3 di Maggio del 1563 toccò a Milazzo.
I prigionieri venivano venduti come schiavi nei porti del nord-africa, specie le donne e i bambini, o venivano detenuti in attesa di essere rilasciati dietro pagamento di un riscatto. Le zone più esposte erano quelle in pianura. Varie volte nei secoli nonostante le opere di difesa, le torri di guardia e le milizie a piedi e a cavallo che avevano il compito di proteggere beni e vite umane, risuonò il suono a martello delle campane che avvertiva del pericolo. La notte i fuochi tra le torri di guardia avevano un loro codice e avvertivano se era in corso un attacco, di giorno erano le volute di fumo, costanti o intermittenti, a segnalare il pericolo. Pitrè nei canti popolari fa riferimento alle incursioni piratesche nelle città marittime e nei territori limitrofi rispetto alle quali l’unica salvezza per preservare vita e libertà era la fuga.
All’armi, all’armi, la campana sona – li turchi sunnu iunti a la marina – cu havi li scarpi rutti si li sola – ca eu mi li sulavi stamatina
Fallito un primo tentativo di assaltare la cittadella fortificata di Melazzo lo sbarco avvenne “nel lido della Piana” (F. Napoli “Memorie della Città di Milazzo” 1667) con le popolazioni che cercarono rifugio a Roccavaldina, Valdina, Rometta, Santa Lucia
L’allarme corse nei secoli anche da un capo all’altro del Planum Milatii , il vasto territorio che “dalla parte di Levante” dal Castello di Milazzo e dalla Torre della Lanterna giungeva fino alla Torre di Spadafora e poi alla Torre di “Capo Rasiculmo” e, “dalla Parte di Ponente”, dalla Torre della baia di San Antonio (detta anche del Palombaro) e dall’altra posta sulla strada detta Torre Longa spaziava fino a quella di Cantoni (sita sulla spiaggia alla foce del Patrì o fiume di Terme) e a seguire fino a Tindari. Ad ogni allarme i contadini fuggivano con le famiglie, poche masserizie e il bestiame verso l’entroterra e i paesi collinari, cercando riparo negli abitati dove c’erano presidi militari, o in castelli e borghi fortificati. Quando nel 1544 i pirati turchi saccheggiarono Lipari, alcune navi dell’imponente flotta del Barbarossa fecero rotta, nel mese di luglio, verso la Piana di Milazzo con l’intento di saccheggiarne il territorio. Fallito un primo tentativo di assaltare la cittadella fortificata di Melazzo lo sbarco avvenne “nel lido della Piana” (F. Napoli “Memorie della Città di Milazzo” 1667) con le popolazioni che cercarono rifugio a Roccavaldina, Valdina, Rometta, Santa Lucia. In particolare è divenuta leggendaria l’impresa dei contadini che erano al servizio del Barone Antonio Balsamo, allora titolare del Feudo di Cattafi (oggi comune di San Filippo del Mela) che, unendosi ai soldati a cavallo e ai militi, con forconi, vanghe e bastoni riuscirono a bloccare l’avanzata della fanteria turca verso Santa Lucia.
Ancora oggi a distanza di 480 anni la resistenza e il coraggio dei contadini di Cattafi sono celebrati e costituiscono la base della danza della vittoria degli “Scacciuni” rievocata ogni anno nei giorni del carnevale della frazione di Cattafi con “ a maschira” che richiama l’abbigliamento e il vestiario sottratto ai turchi negli scontri. La datazione dell’episodio è incerta ma, anche alla luce delle narrazioni esistenti sul sacco di Lipari, può essere collocata verosimilmente tra il 14 e il 15 Luglio del 1544.
Il casale di Pozzo di Gottho, allora proprietà del nobile cavaliere messinese Gotho era già stato devastato dai turchi nel 1523. Altro imponente sbarco dei corsari turchi giunti a bordo di 24 galee si era verificato nel 1537 presso il “lido del Convento di San Gregorio” situato in località Divieto dell’odierno comune di Villafranca Tirrena.
Il 3 di Maggio del 1563 amara sorte toccò a Milazzo: uno spagnolo, capitano d’armi della piazza, nominato Morroy (secondo l’Abate francescano F. Napoli), messosi d’accordo con un rinnegato liparoto, tale Francesco Conte che guidava undici galee turche, riuscì a far penetrare al borgo i corsari con uno stratagemma: ordinò che “le genti si dovevan ritirar nelle case, che avevano da venire con suoni e giochi persone da fora in quantità”. Il naviglio turco accostò nel porto indifeso, sparò con le artiglierie contro il borgo “e presero e saccheggiarono quanto poterono”. Prosegue il Napoli “che al farsi giorno le galee uscite, si trattennero per tre dì nelle Isole Eolie e dispartite ne rimasero solo cinque con parte della presa per ricattarsi i cristiani”. Ma la sorte non fu loro favorevole poiché le galee turche furono assaltate dalle galee siciliane; il rinnegato liparoto fu portato a Milazzo e “gli troncarono il naso, indi lo percossero con punte di canna e per fine lo bruciarono presso la Parrocchia di San Giacomo”.
Il 27 Giugno del 1578 Marcantonio Colonna, vicerè di Sicilia, così scriveva al Re di Spagna Filippo II: “I corsari fanno grossi danni in quest’isola nelle molteplici costiere dove mancano le torri…il mare brulica di pirati…”. Algeri era una città ricchissima per lo smercio delle prede e del bottino, si catturavano anche i pellegrini diretti in terra santa e poi si razziavano spezie, sete, legname, riso, zucchero, grano. Fu lo stesso sovrano di Spagna nel 1596 a sostenere la costituzione dell’Opera della Redenzione dei cattivi di Sicilia (vedi frontespizio del CATALOGO DE’ SICILIANI REDENTI del 1804 in basso) con lo scopo di raccogliere fondi per riscattare gli schiavi catturati dai turchi. Alla raccolta dei fondi contribuivano i parenti, le opere pie e la stessa Redenzione.
Nei “riveli” (registri) degli schiavi siciliani che erano stati catturati e che erano detenuti in Barberia degli anni compresi tra il 1596 e il 1606 figurano contadini di Condrò (1), San Filippo (1) e di Santa Lucia (1). Ancora negli anni 1787 e 1788, come risulta dal documento contenuto nel catalogo del 1804, vengono indicati due schiavi di Milazzo liberati a cura della Deputazione della Redenzione: Giuseppe Pergolisi di anni 23 e Vincenzo Compuosto di anni 45 riscattati entrambi al prezzo di 550 zecchini algerini.
Pino Privitera