UN PO’ DI STORIA. Crudelissime pestilenze afflissero la Sicilia per secoli. La definizione risale al Canonico Antonino Mongitore che nelle “due storiche relazioni” allegate al volume DELLA SICILIA RICERCATA (1743) si occupò in una “de terremoti, l’altra delle pestilenze di Sicilia”. Le mortifere pestilenze erano spesso “appiccate” da mercanti, da soldati o dalle merci infette che venivano sbarcate nei siti marittimi. Sedi del contagio furono quindi i principali porti dell’isola: Trapani, Messina, Siracusa. Milazzo non fu da meno. In assenza di rimedi adatti a debellare il morbo le pestilenze duravano a lungo decimando la popolazione, sia quella che viveva nelle campagne ma ancor più quella che popolava i centri urbani.
Poco prima della conquista bizantina della Sicilia e subito dopo la morte di Giustiniano (565) la peste detta “inquinaria” si era diffusa in tutta la Sicilia portata da Costantinopoli; la contaminazione dell’aria era ritenuta all’origine della peste. Le rare testimonianze di quei secoli riferiscono che “anche molti ricchi perirono per mancanza di servi e perché i cadaveri rimanevano insepolti”. Terribile fu la peste degli anni 1347-1348 e 1349, in piena età aragonese, definita “la peste grande o peste nera”; si diffuse partendo da Messina agli inizi di Ottobre del 1347 a seguito dell’entrata in porto di dodici galee genovesi forse provenienti dalla Crimea (E.Pispisa) ed espandendosi poi a Catania verso la fine di Novembre. Nello spazio di tre anni, secondo quanto afferma il Mongitore, “tutto il mondo fu travagliato dalla peste ,e fu così terribile e memorabile che non vi è scrittore, che non ne facci menzione”.
Rimane qualche traccia sulle conseguenze patite da Melazzo anche se le testimonianze sono alquanto scarne e imprecise. Molti messinesi, racconta lo storico Mongitore, fuggirono dalla città “per scampar la vita e …molti si portarono dispersi per il Regno e dilatarono il male…”. La peste giunse così anche a Milazzo portata dai fuggitivi messinesi che morivano “per via, in campis, in maritimis, in mari”; a Catania i messinesi venivano evitati dicendo “NON MI PARLARI CA SI MISSINISI” (S.Correnti).
Riferisce lo storico milazzese Antonino Micale (1935-2012) che, allorchè a Milazzo si diffuse la peste del 1347, il nucleo originario del borgo aveva avuto da poco la concessione regia per una prima espansione verso il basso. Fino a quella data l’abitato originario di Melazzo si limitava a quello contenuto all’interno della cinta muraria realizzata dal Re Giacomo d’Aragona. Il primo lazzaretto per la cura degli appestati venne realizzato a Milazzo proprio per l’epidemia del 1347-1349 intorno alla piccola chiesa di Santa Marta, venerata come patrona degli ospizi e che all’epoca sorgeva poco al di fuori delle mura (nei pressi del Regina Margherita sulla via Rodriquez). Qui si portavano gli appestati, questo era “lo spedale dove si guardano gli uomini e le robe sospette di peste”.
Il morbo, che il canonico Mongitore definì “flagello della divina giustizia”, stante l’assenza di concrete indicazioni mediche per contrastare il contagio, veniva combattuto, anche per le pressioni del clero, con grandi processioni e funzioni religiose che ottenevano l’effetto opposto ampliandone la diffusione. A Messina come riferisce sempre lo stesso Mongitore “gli ammorbati erano lasciati in abbandono…e quasi tutti i frati Domenicani, Francescani e degli altri ordini religiosi vi perirono per avere amministrati i sacramenti..” Per quanto riguarda il numero delle vittime della peste del 1347 non vi è certezza di dati, le poche descrizioni delle città aggredite dal morbo in Sicilia riferiscono “di cadaveri insepolti,, case abbandonate, la roba esposta a tutti” e sempre il Mongitore indica in 530.000 i morti in Sicilia; una cifra che appare esagerata tenuto conto che la Sicilia ancora nel 1748 non aveva che 1.278.721 abitanti (Beloch 1889). Secondo alcuni storici perì circa il 25% della popolazione. Per la fine della peste riferisce sempre il Mongitore che a Messina venne acclamato Patrono della città il martire San Sebastiano. Circostanza che sembra trovare conferma nel Melazzo Sacro del Padre Cappuccino Francesco Perdichizzi dove si narra che “per voto fatto dalla città in occasione di peste venne edificata nell’anno 1348 la Chiesa di San Sebastiano che aveva porta verso levante…”(eretta dove oggi sorge la piccola Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, tra Piazza Roma e l’inizio di Via Umberto 1°).
Ma quanti morti ebbe Milazzo? Di sicuro si verificò un impoverimento e un calo della popolazione. Una risposta, in assenza di dati certi, si può ipotizzare sulla scorta di alcuni elementi comparativi. Milazzo nel censimento del 1716 aveva un totale di 5.869 residenti e nel 1347 all’inizio della peste difficilmente doveva superare i 4.000 abitanti. Gli studiosi, specie inglesi, concordano nel ritenere che il numero dei morti fu tra il 25 e il 27% della popolazione. Considerando che il contagio per la “peste grande” fu esterno e che di sicuro furono adottate misure per bloccare l’arrivo dei forestieri e per contenere anche l’arrivo di mercanti e navigli si può ipotizzare che perirono circa mille abitanti seppelliti al di fuori delle mura nelle fosse realizzate a ponente verso la zona compresa tra San Giovanni e San Papino.
Pino Privitera