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mercoledì, 30 Ottobre 2024

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Milazzo ospitava un lago. Ecco dove si trovava: tra storia e leggenda

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UN PO’ DI STORIA. Fa sorridere l’idea che il territorio di Milazzo abbia ospitato un lago. Eppure dalla cartografia antica, dai  resoconti dei  viaggiatori e dalle descrizioni degli storici emergono univoche prove a favore della sua esistenza.  Esse fanno riferimento  ai secoli  XVI, XVII e XVIII,  epoche  in cui  la città  di Melazzo, il cui toponimo  era subentrato a quello dell’antica Milae, poteva contare su un  vasto territorio denominato    “Planum Melatii”; una estensione  i cui confini erano delimitati  da  Santa Lucia e dai centri  di Condrò, Monforte, Rocca e Spadafora dall’altro lato. Per raggiungere l’attuale suddivisione amministrativa comunale bisognerà attendere il 1853 per San Filippo del Mela, il 1873 per San Pier Niceto, il 1923 per Torregrotta e il 1927 per Pace del Mela.

Volendo iniziare  dalla cartografia antica Giacomo Cantelli da Vignola (foto in alto)  rappresentò la Sicilia in una famosa carta edita  a Roma nel 1682 e realizzata  con la collaborazione dell’incisore messinese Francesco Donia. Nella carta   il Lago Pantano è posto a ridosso  dell’abitato fortificato di Milazzo in una zona compresa tra  Acqueviola e fino al territorio del comune di Pace del Mela (oggi zona industriale di Giammoro).  L’allegato  stralcio  evidenzia in modo chiaro  la sua collocazione. A distanza di pochi anni, nel 1696, fu il francescano Vincenzo Maria Coronelli, cartografo e geografo della Repubblica Serenissima di Venezia (foto in basso), a confermare  in un’altra carta della Sicilia  l’ubicazione del Lago Pantano seguito, nel 1702,  dal cartografo  francese Jean-Baptiste Nolin (1702) (seconda doto in basso).  Il gesuita siracusano Octavio Cajetano  nella sua Isagoge Historiam Sacram Siculam stampata nel 1707  accenna alla palude di Milazzo “in mezzo alla quale scaturiscono acque talvolta calde, talvolta fredde” (paludem Mylaitarum acquam in medio scaturientem, aliam frigidam, aliam calidam).

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Tale  descrizione fu ripresa da Vito Amico nel suo Dizionario Topografico della Sicilia, tradotto dal latino e pubblicato da G. Di Marzo nel 1856. Vito Amico così scrisse  ”presso il lago che appellano Pantano a 2 miglia da Milazzo verso Messina … dubito non inconsideratamente che questo sia quel lago menzionato dal Gaetano  nell’Isagoge di acque calde e fredde, delle quali tuttavia non è memoria alcuna”.

La descrizione del Pantano  più antica rimane probabilmente  quella contenuta nel testo delle donazioni  del guerriero normanno Goffridus Burrellus a favore della Chiesa Messinese e di Troina e del suo primo Vescovo Roberto risalenti agli anni 1087 e 1088. Nella descrizione delle terre donate ”in territorio Milatii”,  per delimitarne i confini vastissimi, il pantano viene più volte citato “deinde per littus maris usque ad pantanum”. Non dubitabile appare quindi la tesi che il Pantano fosse nell’XI secolo, dopo la fine della dominazione musulmana in Sicilia,  uno specchio d’acqua  paludoso, ricco di vegetazione  non molto distante dal mare e che iniziava nei pressi dell’attuale contrada di Parco Vecchio subito dopo la Chiesa di Santa Maria del Boschetto.  

Secondo alcuni storici e tra questi il più insigne appare Padre Giovanni Parisi da Pace del Mela,  il pantano era   direttamente collegato al mare già  in epoca romana ospitando il  Nauloco, un grande rifuglio per navi, ma anche luogo di manutenzione e costruzione di triremi romane. Sempre secondo le tesi del Parisi nello specchio d’acqua antistante il Nauloco si svolse il famoso scontro navale del 36 A.C. che, con la sconfitta di Pompeo,  determinò l’ascesa definitiva di Cesare Ottaviano Augusto e del suo ammiraglio vincitore Vipsanio Agrippa. Riferimenti alla palude di Milazzo si trovano anche negli scritti dello storico Giuseppe Piaggia e nell’opera di Antonino Mongitore  “Della Sicilia ricercata” pubblicata nel 1743.

A conclusione di queste brevi note un cenno va fatto anche ai resoconti della battaglia del 20 Luglio 1860 e al fatto che paludi e canneti fossero ancora presenti all’epoca dello scontro tra garibaldini e borbonici.  Lo stesso  D’ Annunzio  nel libro secondo delle LAUDI (1903)  dal titolo “ La notte di Caprera”  dedicata  a Garibaldi  esaltò l’impesa di Milazzo con le seguenti parole e “…laggiù  sul sottile istmo, a Milazzo, entro i maligni intrichi delle paludi e dei canneti, ritto il suo Missori bellissimo che uccide i cavalieri…”.

Pino Privitera

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