UN PO’ DI STORIA. Oggi è difficile immaginare – a causa dell’eccessiva urbanizzazione – che un tempo il territorio della Piana di Milazzo ospitasse l’allevamento del baco da seta. La storia della seta in Sicilia ha origini molto antiche risalenti alla dominazione bizantina.
La prima ondata di diffusione della bachicoltura nella piana si sviluppò tra l’VIII e l’XI secolo ed ebbe come epicentro la contrada Masseria, ricca di acqua e dove erano presenti mulini alimentati dal Floripotema, detto anche fiume di San Filippo (v. stralcio planimetrico Stradario Storico della Città di Milazzo di A. Micale). Oggi degli antichi insediamenti della contrada rimane la sola struttura della CUBA, edificio sacro eretto dai primi monaci bizantini che popolarono l’agro di Milazzo, visibile all’interno del Parco Corolla.
Le Cube erano non solo luoghi di preghiera ma anche di incontro per il contado insediato nella fertile estensione del Planum Milatii. Una seconda fase di espansionesi ebbe dopo il 1148 a conclusione della spedizione in Grecia di Ruggero II d’Altavilla, detto il normanno, primo Re di Sicilia. Riferisce lo storico bizantino Niceta Coniata (1150?-1217) che i Normanni di Sicilia conquistarono Tebe, l’Eubea e Corinto, “fecero molti prigionieri tra i ricchi corinzi e presi di essi quanti si distinguevano per meriti e scelte le donne più belle…e che conoscevano bene l’arte della tessitura salpò da lì”. Milazzo già all’epoca era un importante presidio militare e rappresentava un approdo sicuro per la flotta del Regno Normanno. I greci vennero dispersi in molte località della Sicilia orientale e alcuni di essi finirono per stabilirsi a Milazzo. Il ruolo della città e del suo porto venne successivamente riconosciuto da Federico II di Svevia con apposito privilegio del 1240 dove, per le esportazioni del Regno di Sicilia, viene menzionato insieme al porto di Augusta quello di Milazzo.
La prima ondata di diffusione della bachicoltura nella piana si sviluppò tra l’VIII e l’XI secolo ed ebbe come epicentro la contrada Masseria,
Nei secoli successivi al medioevo la coltivazione del baco da seta ebbe ulteriore impulso in tutta la piana di Milazzo con epicentro nella contrada Gelso-San Basilio, ricca d’acqua, quasi limitrofa alla frazione di Santa Marina (v. stralcio dello stradario storico). Riferisce l’abate Perdichizzi nel suo Melazzo Sacro (1692 secondo il Micale) che la chiesa di San Basilio “mancò a tempo de saraceni e discacciati questi da Normanni fu ristorata…ma oggi è ridotto a semplici case… e mancando tutti li pozzi di questa contrada quella suddetta è abbondante d’ottima acqua…”. Il padre della storia siciliana, l’Abate domenicano Tommaso Fazello, così nel 1558 descrisse la coltivazione del baco da seta: “…fassi la seta e massimamente nel paese di Messina, la quale è perfettissima e si fa con questo meraviglioso artificio di natura… si pigliano intorno al principio di Maggio i semi di quelli bachi, che fanno la seta e rivoltigli in un panno lino sottile, o messi in seno a qualche donna, ne nascono certi bacolini o vermicelli i quali son veramente quelli che si domandano bruchi ed acciocchè non si muoiano son nutriti da color che n’hanno cura di foglie di mori…”. La produzione della seta era così fiorente da rappresentare una delle attività predilette dalle classi nobiliari insediate tra Milazzo e Spadafora. Le spedizioni avvenivano via mare verso Messina, con partenza dal porto di Milazzo e dallo “scaro” di Fondachelli dove confluiva tutta la produzione di Roccavaldina, Valdina, Monforte, San Pietro di Monforte (San Pier Niceto), Turris Gruttae, e Condrò.
Milazzo nel 1874 aveva 250 telai nelle case.
Erano i contadini e le loro famiglie i veri protagonisti della cura del baco, specie nella fase c.d. del nutricato che si concludeva con la estrazione della seta dal bozzolo; tale attività riusciva ad integrare i miseri guadagni di quelle epoche. Una “gabella” gravava sulla estrazione della seta ed essa serviva al alimentare le entrate del fisco regio e delle municipalità. Il 10 Agosto del 1612 per “darsi in pagamento delle fanterie, castelli, Galere e salari de’ Ministri…” venne fissata la gabella di “un tarì per ogni libra di seta che s’esce al mangano” . Nell’anno 1664 per coloro che evadevano la tassa le pene erano severe ma diversificate a seconda che fossero “persone nobili e cittadini onorati di stare in un castello”, per le quali erano stabilite fino a dieci anni di carcere; per le altre “persone basse che controvertiranno alla presente proibizione” fino a dieci anni di condanna ai remi sopra le regie galere (vascello militare in genere con due alberi e 26 rematori da ogni parte).
Con bando del 1679 in tutto il territorio del Regno e nella Piana e “terra di Melazzo”, era stato imposto che “nessuna persona possi tagliare alberi di celsi” . Le modalità di coltivazione venivano disciplinate dal Consolato della Seta e dal Magistrato del Commercio presenti a Messina. I giurati della Citta di Milazzo avendo forti interessi seguivano con attenzione l’attività di regolamentazione della produzione della seta tanto da opporsi (1747) con decisione alla introduzione di “novidad” : “Melazzo y otros reclamar lo contro al bando que se ha publicado…”. In Sicilia la tassazione sulla produzione della seta venne abolita a partire dal 1806. Vito Amico nel Lexicon Topographicum Siculum (1757)) riferisce della presenza di gelseti anche al Capo e, secondo l’unità di misura di superficie allora vigente, il territorio di Milazzo coltivato a gelseti si estendeva per circa 13.756 salme (corrispondenti a circa 31.000 ettari).
Per rendere meglio l’idea dell’importanza economica e sociale di tale attività fino al periodo post-unitario occorre fare riferimento al numero di telai artigianali esistenti nelle case (censimento del 1874), ma anche alla celebre dichiarazione resa in Parlamento nel 1876 dal deputato messinese PICARDI: “nella stagione dei bachi non c’era contadino che non convertisse la sua casa in bigattiera” (locale apposito dove si allevavano i bachi). Per quando riguarda la filatura artigianale Milazzo nel 1874 aveva 250 telai nelle case, stesso numero ne aveva l’odierna San Pier Niceto, Santa Lucia ne aveva 600, San Filippo 200, Monforte 80, Gualtieri 60, S. Pietro Spadafora (allora comune autonomo) ne aveva 10 per la specifica tessitura di canapa e lino.
Pino Privitera