UN PO’ DI STORIA. Scrisse il Piaggia nelle “Memorie storiche della città di Milazzo e nuovi principi di scienza e pratica utilità”, (pubblicato a Palermo nel 1866) che “Lungo la dimora degli inglesi, il denaro fu versato in Milazzo a torrenti e gli stessi abitanti d’oggi benedicono a quell’epoca memorabile di dovizie”. Il riferimento dello storico Piaggia è al periodo del protettorato inglese della Sicilia che cessò con il ritorno di Ferdinando II in Napoli.
la presenza inglese in Sicilia arricchì Milazzo, ne sviluppò la classe borghese e ne favori i commerci.
Sul finire del 1798 i repubblicani sotto la spinta dell’esercito francese conquistarono Napoli e il Regno di Ferdinando II crollò. Tumulti e rivolte infiammarono tutte le province del regno. Lo spavento assalì la corte reale che trovò rifugio a bordo del vascello dell’ammiraglio Nelson. Sulle navi di Nelson vennero imbarcati numerosi dignitari assieme al corpo diplomatico e ai militari di alto rango che fuggirono. Addirittura Nelson fece incendiare i rimanenti “legni di guerra” borbonici presenti nel porto di Napoli. Iniziò così il periodo d’oro della presenza inglese in Sicilia che, come affermato dal Piaggia, arricchì Milazzo, ne sviluppò la classe borghese e ne favori i commerci. Milazzo e il suo imponente presidio militare rappresentarono uno dei baluardi contro l’espansione napoleonica nel Mediterraneo e il costante e imponente afflusso di denaro necessario al suo sostentamento ne determinò la crescita demografica, lo sviluppo urbano e la ricchezza economica.
Gli inglesi giunsero a Milazzo in maniera consistente a partire dal 1806 e fu l’inizio del “decennio inglese”. Dapprima furono alcune migliaia, circa seimila. Poi il contingente aumentò superando le 10.000 unità nell’anno 1810. Il campo inglese sorgeva a partire da San Papino fino alla zona di San Giovanni con baraccamenti e tende. Una delle poche rappresentazioni esistenti del “campo inglese” è opera del cartografo-idrografo Henry Smyth al servizio della marina inglese che visitò Milazzo in quegli anni e che effettuò rilevamenti nel periodo compreso tra il 1813 e il 1816. Smyth rappresentò “The British Barracks” l’enorme campo militare inglese configurandolo in 14 gigantesche costruzioni in legno che partivano dal Convento di San Papino e si estendevano fino a San Giovanni. Enormi le necessità per approvvigionare le truppe di viveri, ma anche di sopperire a tutte le necessità del campo: legna, carbone, acqua. Furono impegnate decine di lavandaie, fabbri, maniscalchi, calzolai, falegnami, bottai. Milazzo si arricchì grazie “al denaro inglese che fu versato a torrenti”. Lo stesso Lord Bentinck, comandante del contingente inglese in Sicilia lo visitò due volte. Furono anche realizzate importanti opere militari per restaurare la piazza d’armi che assieme a quella di Messina serviva per dissuadere Murat e le truppe francesi dal tentare sortite in Sicilia. Tutto cessò con la pace di Vienna (Il Congresso di Vienna all’art. 104 stabilì “che il Re Ferdinando per se e suoi eredi e successori è rimesso sul trono di Napoli e riconosciuto come Re del Regno delle Due Sicilie”), e al reinsediamento dei Borboni a Napoli seguì il graduale abbandono della Sicilia da parte degli inglesi. Sconfitto definitivamente Napoleone non avevano più bisogno dell’isola.
Ma ancor prima di questi anni la presenza della flotta inglese nel Mediterranea (raggiunse quasi le cento unità) riguardò Milazzo come piazza per i rifornimenti. Qualche decennio addietro la studiosa messinese Maria Grazia Di Paola ha riportato l’attenzione sul diario del giovane contabile di bordo della marina inglese James Meeck che operò in Sicilia. Il documento riguarda anche Milazzo ed è stato per quasi un secolo e mezzo custodito dalla famiglia Meek e dai discendenti a Sidney.
Il giovane servitore di Sua Maestà annotò le peripezie vissute anche a Milazzo per procurare i rifornimenti per la Royal Fleet. Meek svolse un’attività frenetica nel periodo compreso tra il mese di Ottobre del 1800 e Marzo 1801 per procurare le provviste che potevano rendere più lunghi i periodi di permanenza in mare della flotta. Così nel diario: “… Milazzo sembra l’unico posto in cui le nostre necessità saranno soddisfatte con tutte le garanzie richieste, il solo ostacolo da essere temuto è una mancanza di botti…”. Meek doveva acquistare in grande quantità scarpe (20.000 paia), riso, fagioli, limoni (2.000 casse), manzi (oltre 500 capi), cordame, pane, olio ma soprattutto vino. A Milazzo trovò vino di ottima qualità e ne confermò fino a 8.000 salme (1 salma circa 275 litri) precisando “che sarebbe durato per due o tre anni” ma il vero problema era rappresentato dalle botti che a Milazzo non trovò in maniera sufficiente finendo per acquistarle anche a Messina, Palermo e Malta. Comunque a Milazzo opzionò tutto il vino disponibile tramite il viceconsole D’Amico al quale chiese di procurare anche fino a 1.000 tumoli (1 tumulo circa 50 kg.) di ceci o piselli secchi. Meek in qualità di agente ricevette anche richieste da navi private inglesi per rifornirsi a Milazzo (carne, vino, verdure e altri generi) ma rispose negativamente dirottandole su Messina. Intere categorie di artigiani (bottai, calzolai, cordai) si posero al lavoro per rispondere agli ordinativi di Meek. In un viaggio a cavallo da Messina a Milazzo impiegò otto ore “sulla peggiore strada che mai incontrai”. A Milazzo acquistò anche zucchero, olio e ordinò altre 4.000 salme di vino per i primi mesi del 1801. Tutto veniva messo nelle botti anche le scarpe.
Nei sei mesi di presenza di Meek in Sicilia molte navi da trasporto inglesi fecero scalo a Milazzo per caricare ed erano operazioni che richiedevano un consistente apporto di manod’opera. Il resoconto di Meek, ripescato da Maria Grazia Di Paola, rappresenta una eccezionale testimonianza sulla capacità del territorio di Milazzo di fornire prodotti eccellenti e la sua rilevanza al pari delle più importanti piazze siciliane come Palermo, Marsala, Girgenti, Mascali. Esso anticipa e nella sostanza conferma quanto venne affermato dal Piaggia decenni dopo (1866) a proposito della presenza inglese come a un’epoca memorabile di abbondanza e ricchezza che ancora si benediceva.
Pino Privitera