UN PO’ DI STORIA. La malattia è stata una costante nella storia dell’umanità e c’è voluto il Covid-19 per riportare l’attenzione sulle epidemie. Anticamente le cause delle malattie rimanevano quasi sempre ignote ed anche la stima dei morti era approssimativa. Nel secolo XX (1918-1919) divenne tristemente famosa l’influenza “spagnola” o “grippe” che contagiò quasi 500 milioni di persone uccidendone secondo alcune stime quasi 50 milioni. I dati rimangono comunque incerti e forse lo saranno per sempre. Nella sola Italia i morti furono circa 600.000 (400.000 secondo altre stime) con un’incidenza di circa l’1,54% sulla popolazione dell’epoca (circa 40 milioni). Secondo gli storici e gli studiosi la Sicilia fu, dopo la Lombardia, la Regione più colpita con circa 30.000 morti. Anche allora vennero varate misure per contenere il contagio (cfr. Manifesto del Servizio d’Igiene del 1918).
Anche a Milazzo la “spagnola” seminò lutti e dolore. La sua diffusione ebbe inizio verso la metà del 1918 e prese tale nome per il fatto che le prime notizie sulla malattia vennero riportate dalla stampa spagnola. La Spagna, non essendo paese belligerante, non aveva una rigida censura sulla diffusione di notizie che potevano creare allarme tra la popolazione, al contrario in Italia le comunicazioni sull’influenza furono scarse e sottoposte a controllo. La “Gazzetta di Messina e delle Calabrie”, riportò nel Luglio del 1918 che la malattia era presente in Austria e Ungheria e che lo stesso “Kaiser” ne era stato colpito. Eppure già a partire dal mese di Giugno del 1918 l’aumento dei decessi fu particolarmente elevato anche a Messina, a Milazzo e in tutta la provincia.
Nel 1918 i residenti di Milazzo erano circa 19.000
Nel 1918 i residenti di Milazzo erano circa 19.000, quelli rilevati nel censimento del 1911 erano stati 17.587 e furono 20.573 in quello del 1921. La città dopo l’unità d’Italia aveva beneficiato di un costante incremento della popolazione passata dai 10.828 del 1861 ai 16.214 del 1901. Negli anni che precedettero la diffusione della “Grippe” o “Spagnola” le tumulazioni a Milazzo erano state 214 nel 1915, 228 nel 1916, 218 nel 1917; nel triennio una media pari a 220 decessi l’anno. Nel 1918 ci fu un vero e proprio “botto” di morti che raggiunsero il numero di 382, un incremento del 75%. Oltre il 20% dei decessi, quasi 80 (1918) interessò bambini e ragazzi nella fascia di età compresa tra 0 e 10 anni; altri 73 furono i decessi in questa stessa fascia di età nel corso del 1919. In assenza di cure specifiche l’esito fatale si aveva nel volgere di pochi giorni; decine di nuclei familiari furono colpiti da lutti tremendi affrontati con rassegnazione e compostezza. Numerose iscrizioni sepolcrali nel Cimitero monumentale della città testimoniano “il fatal morbo” che arrecava improvvisa disperazione e “sottraeva alla vita”. Solo nel Gennaio del 1919 il Prefetto della Provincia di Messina ordinava “l’obbligatorietà della denuncia dei casi di influenza o sospetti di esserlo” (Gazzetta di Messina e delle Calabrie).
Gli anni della spagnola furono quelli degli ultimi mesi di guerra e della smobilitazione con decine di migliaia di soldati che rientravano nelle terre d’origine dove ad attenderli trovavano miseria, fame, disperazione, razionamenti e mancanza di lavoro. A Milazzo e in tutta la provincia, pur con le operazioni militari concluse, il razionamento interessava ancora i principali prodotti necessari per sopravvivere: pane, pasta, legumi, carne, anche la produzione delle scarpe era sottoposta a controllo. L’Ente autonomo per i consumi presente in ogni comune aveva il compito di bloccare la libera vendita e di imporre i prezzi calmierati. Una situazione che divenne incontrollabile poiché non assicurava alcuna remunerazione su quasi tutto ciò che veniva prodotto.
Si generò una situazione di caos politico, economico e sociale. Stupefacenti le espressioni dialettali utilizzate nel suo diario a proposito della “Spagnola” dal contadino Vincenzo Rabito (Terra Matta, Einaudi, 2007) e relative al suo rientro a Chiaramonte Gulfi a guerra finita: “…qui in tutte li paese, c’eni una febre spagnola, che a cente ni stanno morento più assaie della querra… ma io della spagnuola non mi impresionava, perché veneva dell’inferno…così quella sera che io sono arrevato a casa, io aveva una fame di un lupo…e vino ce n’era tanto perché c’era la febre spagnuola e ci voleva vino per non ci venire la febre…”. Tra Febbraio e Marzo del 1919 la situazione divenne particolarmente grave in tutta la provincia; scioperarono gli insegnanti e a questi si unirono i pastai, i panificatori, i macellai. A Milazzo gli allevatori si opposero alla “requisizione dei bovini” e il Sindaco dell’epoca partecipò agli incontri che si tenevano a Messina per cercare di ottenere la revoca della misura.
Tra le categorie di artigiani la più colpita dalla spagnola a Milazzo fu quella dei calzolai che subì una vera e propria decimazione
Comunque a partire dalla Primavera del 1919 l’influenza declinò rapidamente tanto da consentire al Direttore Generale della Sanità del Regno di definirla “ormai superata”(cfr. foto famiglia con mascherine protettive). In effetti i dati del totale delle tumulazioni (221) del 1919 segnarono per Milazzo un ritorno alla situazione antecedente alla diffusione dell’epidemia. Tra le categorie di artigiani la più colpita dalla spagnola a Milazzo fu quella dei calzolai che subì una vera e propria decimazione: nel biennio tra il 1918-1919 vennero registrati oltre 20 decessi di appartenenti alla categoria; praticamente quasi tutti considerato che nel 1914 ne risultavano in attività 15. Altre categorie che vennero duramente colpite furono i falegnami, i carrettieri, i murifabbri. La grande fabbrica di Concimi della Montecatini perse anche il capo degli operai che si era trasferito a Milazzo da Nerviano (Mi).
Pino Privitera