LA STORIA. Ha solcato i mari del Mediterraneo per salvare e dare conforto ai migranti e fare sentire la vicinanza della chiesa. Don Sandro Messina è il direttore della Fondazione Migrantes di Fano ma è milazzese di nascita. Da giovane assieme alla sua famiglia ha frequentato il Santuario di San Francesco di Paola dove ha maturato lentamente la sua vocazione. Suo padre, Stefano Messina, stimato magistrato, è stato presidente della Corte d’Appello di Messina. Attualmente don Sandro si trova a Milazzo per passare qualche giorno di relax con i fratelli Vincenzo, Lucia e Francesco e con i nipoti. E’ reduce da una missione nel Mediterraneo dove – con la benedizione della Conferenza Episcopale Italiana e il finanziamento di Migrantes nazionale – ha partecipato a ben tre operazioni di salvataggio dei migranti a supporto della missione ‘Sar’ (ricerca e soccorso) promossa da Mediterranea Saving Humans.
La ricerca è partita venerdì notte da Trapani e si è conclusa l’indomani mattina. «In 14 ore sono stati soccorse oltre 180 persone – racconta don Sandro a Milazzo 24 – Noi ci trovavamo in una barca a vela che seguiva il rimorchiatore “Mare Jonio” della Mediterranea Saving Humans. Assieme a me sulla barca c’era anche il direttore diocesano Migrantes di Caltanissetta (Donatella D’Anna) assieme ad altri volontari e personale medico, oltre a un mediatore culturale».
«Noi non siamo intervenuti direttamente nelle operazioni di soccorso – continua don Sandro Messina – ma la nostra presenza era quella di conoscere e comprendere meglio ciò che avviene nel Mare Nostrum, così da poter avere maggiore consapevolezza e cognizione in vista di una documentazione completa e di una testimonianza autentica. Eravamo tutti di provenienza diversa di religioni e credi differenti, ma ci accomunava il desiderio di vivere un’umana fraternità».
Prima di partire i partecipanti si sono sottoposti a delle esercitazioni. «Da questa esperienza mi sono portato emozioni forti che cambiano la vita. Io ho sempre avuto rapporti con i migranti nei nostri centri ma si trattava di una fase successiva all’arrivo, quando avevano già ritrovato un minimo di serenità. In questi momenti, invece, il cuore di batte a mille. Quando ci si imbatte in un barcone non si sa mai se è vuoto o ci sono persone stremate che chiedono aiuto».
La prima fase è il passaggio sul rimorchiatore. Poi si fornisce cure mediche, un pasto, vestiario nuovo. «Con il passare delle ore e la certezza di non essere riportati in Libia (ripetono incessantemente “No Libia, No Libia” e alcuni hanno segni di torture) vedi persone rinascere», conclude don Sandro Messina.